L’ULTIMA FOTOGRAFIA DI LOLITA (TOKITAE)

Questa è l’utlima fotografia de”l‘orca più sola al mondo“.

Il suo corpo, ormai privo di vita, galleggia sorretto da un’impalcatura, un telo bianco la copre. Sotto quel telo si nascondono tutte le ipocrisie di strutture volte a spettacolarizzare la prigionia. Lolita per fortuna è ormai da tutt’altra parte. Libera.

Lolita, o Tokitae (il nome che le fu dato subito dopo la cattura) era l’orca reclusa nel Miami Seaquarium da ben 53 anni. Ho raccontato la sua storia qui quando ha compiuto mezzo secolo di prigionia. Di Lolita non vedrete mai alcuna fotografia in libertà, semplicemente perché non esistono. Era piccola quando fu catturata nel 1970 durante la cosidettà “Operazione Namu” e da quel giorno è sempre stata rinchiusa. Ora Lolita se ne è andata, dopo che, alcuni mesi fa si era ventilata l’ipotesi di rimetterla in libertà e farla ricongiungere con la sua famiglia che ancora si trova nella zona dove Lolita è stata catturata. Per quanto mi riguarda, le possibilità che dopo 53 anni di prigionia il reinserimento avesse successo erano praticamente nulle. Alla luce di ciò che è successo, il fatto che il Miami Seaquarium avesse dato l’ok, mi fa pensare che fosse un buon modo per liberarsi di un’orca ormai morente, passare bene con la popolazione mondiale e far ricadere la colpa del decesso sulle associazioni animaliste che, da anni, chiedevano a gran voce di liberarla. Sarà un pensiero “complottisitco”, non dico che sia necessariamente vero, ma negli anni ho imparato che quando si parla di delfinari, a pensar male si fa peccato ma… Se fosse così, allora Lolita, se non altro, ha avuto l’ultima parola e il mondo si ricorderà per sempre della vergognosa prigionia che le ha inflitto il Miami Seaquarium.

53 anni di rinchiusa in una tinozza.

Mentre scrivo questo articolo ci sono 54 orche detenute nei delfinari di tutto il mondo. Solo 34 di loro sono le sopravvissute delle 166 catturate in mare dallla fine degli anni 60 a oggi. Questo significa che ben 132 orche sono morte in cattività in poco più di mezzo secolo. Se si considera che possono vivere fino a 90 anni e che sono tutte state catturate da cucciole…

Ciao Lolita. Non perdonare il genere umano.

L’INCERTA SORTE DELLE ORCHE DI MARINELAND D’ANTIBES

Fotografia di Francesco Cortonesi

Ho scattato questa fotografia nel 2017, al delfinario Marineland D’Antibes in Francia. Ritrae due delle quattro orche che si trovano detenute nella struttura. Non so riconoscerle e per questo metto qui i nomi di tutte: Inouk, Wikie, Moana e Keijo. Per il reportage definitivo scegliemmo altre immagini, ma oggi ho deciso di recuperare questo scatto per fare un aggiornamento sul futuro di queste orche. Proprio nel 2017 si parlò, per la prima volta, di una legge che, in Francia, avrebbe vietato l’allevamento di orche e tursiopi. Nei mesi successivi sembrava cosa fatta, ma in realtà mentre scrivo queste righe (fine luglio 2023) non è ancora in vigore. Nel 2020, proprio perché il disegno di legge del 2017 si era arenato, le associazioni animalste francesi rilanciarono la proposta con l’intenzione di ottenere un divieto definitivo nel 2026. Purtroppo, nonostante l’approvazione delle Camere, fu introdotta un’eccezione, ovvero quella di poter allevare orche e delfini per la ricerca scientifica. La solita vecchia storia. Un modo per garantire ai delfinari di poter continuare a sfruttare i cetacei. A Marineland però non sembrano intenzionati a mantenere le orche. Il motivo non è chiaro, forse il loro costo è diventato troppo alto o forse hanno altri progetti e vogliono puntare solo i delfini (attualmente me ne risultano 11 ma il numero è da accertare ). Sia come sia, sta circolando sempre più insistentemente la notizia che l’intenzione sia di venderle a un delfinario giapponese. Questo significa che per Inouk, Wikie, Moana e Keijo è come passare dalla padella nella brace perché le loro condizioni di detenzione, viste le leggi giapponesi in merito, non potranno che peggiorare.

Puoi trovare un approfondimento qui

IL DELFINO CHE ATTACCA L’UOMO

Fotogramma da un video amatoriale

Questo fotogramma proviene da un video divenuto celebre nella Rete. Mostra un delfino che attacca un essere umano. La notizia che, in Giappone, alcuni delfini avrebbero attaccato dei bagnanti ha destato molto scalpore in tutto il mondo. Nel cercare di spiegarne le cause, alcuni si sono spinti persino ad accusare le acque contaminate in seguito al disastro di Fukushima. Spiegazioni fantascientifiche a parte, per quanto i delfini siano animali generalmente pacifici, in realtà la considerazione che dovremmo fare è che l’immagine che abbiamo di loro è costruita su quella che ci rimandano alcuni film e, soprattutto, i delfinari. Un’immagine distorta di un animale sempre giocoso e felice di eseguire i numeri che gli esseri umani gli ordinano di fare. Ma il deflino è un animale selvatico e come tale ha dei comportamenti che possono risultare imprevedibili e incomprensibili per l’uomo che, invece, vorrebbe arrogarsi il diritto di comprendere e dominare tutto. Secondo alcuni scienziati, quei delfini avrebbero agito in quel modo perché stressati da una presenza eccessiva di bagnanti che cercavano addirittura di accarezzarli. Anche se il video mostrerebbe esattamente questo (si vedono molti esseri umani intorno a un delfino), la spiegazione non è definitiva e permangono alcuni dubbi sul perché di un attacco così “massiccio”. Resta però il fatto che, ancora una volta, ci troviamo davanti a un’errata percezione che abbiamo sviluppato nei confronti degli animali. E comunque, in Giappone, ai delfini non mancano certo i motivi per attaccarci

Potete vedere il video qui

IL SOCCORRITORE DELLE BALENE

Fotografia di Mairi Robertson-Carrey

Ancora oggi le cause degli spiaggiamenti dei cetacei non sono ben note. Molti scienziati ritengono che ci siano più cause e comunque alla base ci sarebbe il forte spirito di gruppo dei cetacei. Domenica scorsa 55 balene pilota (globicefali) si sono arenate nell’Isola di Lewis, in Scozia, probabilmente a causa delle difficoltà di una femmina forse malata, che cercava un luogo vicino alla costa dove partorire. I soccorsi, anche a causa del luogo remoto, sono arrivati tardi e purtroppo solo una delle balene pilota è riuscita a riprendere il largo. Tutte le altre sono morte. 12, ormai in condizioni gravissime, sono state soppresse perché non c’era più nulla da fare. Mentre alle Isole Far Oer centinaia di balene pilota sono state uccise dall’inizio di quest’estate 2023, in nome di una “tradizione”, non molto lontano le persone ritratte in questa fotografia, su questa spiaggia di un’isola della Scozia stanno facendo l’impossibile per salvare gli stessi identici animali. Noi esseri umani siamo molto complessi e molto diversi, ma chiunque sia dotato di un grammo di empatia non dovrebbe aver alcun dubbio su da che parte stare.

IL BAMBINO E LO SQUALO

Fotografia di Massimiliano Ricci

Questa fotografia è stata scattata nell’acquario dello zoo di Amsterdam. Il fotoreporter Massimiliano Ricci ci ha raccontato che quando l’ha scattata, il bambino osservava lo squalo leopardo come ipnotizzato. È normale. Questi animali riscuotono un gran successo tra le persone e i bambini ne sono ancor più affascinati, se possibile. Eppure l’esposizione negli acquari fino a oggi non ha certo contribuito a sensibilizzare le persone, infatti, sono sempre più vittime dell’uomo e il loro numero è in costante diminuzione. Gli squali leopardo, ad esempio sono oggetto della pesca commerciale. La loro carne viene ritenuta pregiata e i pescherecci utilizzano sia le rete che il palanghero per catturarli. Non solo. Anche i pescatori sportivi e quelli subacquei gli danno la caccia. A completare il quadro ci sono i numerosi inquinanti che si accumulano nei loro tessuti. E pensare che questo squalo è molto apprezzato anche dal commercio acquarofilo che però non ha sortito alcun effetto visibile di rispetto e conoscenza come invece spesso si vuol far credere. Al contrario, in passato, la cattura dei piccoli lo ha portato alla soglia dell’estinzione. Oggi le cose vanno un po’ meglio. La pesca è regolamentata e l’allevamento in acquari privati notevolmente diminuito. Ciò è avvenuto perché necessità di ampi spazi e i privati, nel corso degli anni, lo hanno compreso sulla pelle di questi squali che, a milioni sono morti in piccole vasche casalinghe. Il bambino, dicevamo, lo guarda come ipnotizzato. Non possiamo sapere a cosa sta pensando, ma sappiamo che potrebbe far parte di una delle ultime generazioni che potranno dire di aver vissuto su questo Pianeta insieme a questi straordinari animali.

TUTTI I DELFINI MORTI AL SEA LIFE PARK DELLE HAWAII

Il Dolphin Project aggiorna regolaramente la lista dei mammiferi marini deceduti nei delfinari di tutto il mondo. In questi giorni, con la scomparsa di Boris, è stato diffuso il numero di quelli morti nel delfinario Sea Life Park delle Hawaii. Boris era stato acquistato a un’asta indetta dall’Università delle Hawaii nel 2015 insieme ad altri due tursiopi. In cinque anni, due di questi tre delfini sono deceduti.

Secondo questa tabella Boris è il 72 esimo delfino a morire nelle vasche della struttura che ha aperto i battenti nel 1964. In pratica al Sea Life Parl muore una media di più di un delfino all’anno.

LA STORIA DI CORKY, DA CINQUANTUN ANNI CHIUSA IN UNA VASCA

Fotografia proveniente dal web

Corky II, conosciuta più semplicemente come Corky, è l’orca detenuta da più tempo negli Stati Uniti. Ha 55 anni e ne sono passati 51 da quando è stata catturata al largo della British Columbia. Quella che segue è la sua storia.

Strappata alla sua famiglia quando aveva solo quattro anni, Corky fu spedita, nel 1970, a sostituire un’altra Corky al Marineland Palos Verdes vicino a Los Angeles che era sopravvissuta solo due anni dopo la cattura. Ovviamente il Marineland di Los Angeles aveva bisogno di un immediato rimpiazzo. Corky divenne così Corky II e restò a Los Angeles fino al 1987, per poi essere trasferita al delfinario di San Diego, dove, da allora, risiede ed è costretta ad esibrisi. Divenuta celebre per essere stata la prima orca a partorire in cattività, è anche quella i cui figli sono sopravvissuti pochissimo. Tutti e 7 i cuccioli infatti non sono andati oltre 46 giorni di vita. Nel 1989, improvvisamente, la sua storia cattura le pagine dei giornali. Tutto è dovuto a un incidente che si verifica poco prima di uno spettacolo. Corky viene infatti attaccata da un’altra orca di nome Kandu V. Di per sé l’attacco non sarebbe nulla di veramente grave, ma purtroppo una scheggia d’osso colpisce l’arteria di Kandu V che muore dissanguata dopo 45 minuti di agonia trascorsi per altro nuotando accanto al suo cucciolo, come per dirgli addio. Il cucciolo di Knadu V a quel punto viene affidato proprio a Corky. Il suo nome è Orkid, e ha meno di un anno. Corky se ne prende cura e la storia commuove milioni di americani. La fama raggiunta sembra aprire nuove speranze per il suo rilascio in natura e un gruppo di scienziati, nel 1993, decide di provare un esperimento. Nella vasca in cui è dentenuta Corky vengono diffusi i suoni registrati in mare che appartengono alla sua famiglia originaria. Quella a cui è stata strappata nel 1969. Corky, che sta nuotando in vasca insieme ad altre orche, improvvisamente si ferma. Trema. Li ricnonosce. C’è persino un video che lo testimonia. Nonostante questo, Sea World nega l’evidenza. E decide di non restituire l’orca alla sua famiglia. Gli scienziati però non vogliono arrendersi e continuano a studiare la famiglia di Corky che vive tutt’ora libera nelle acque della British Columbia, ma senza mai avvicinarsi al luogo in cui, anni prima, è stata catturata la figlia. Gli studiosi ne individuano persino la madre, che morirà nel 2000. Senza aver mai più rivisto la cucciola catturata 31 anni prima. Nel frattempo Sea World continua a fare muro.

Corky compie in questi giorni 51 anni di prigionia. È anziana, cieca da un occhio e con i denti ormai andati. Nonostante molti gruppi di attivisti americani ne chiedano il rilascio in un Santuario marino, Sea World nega ogni possibilità che ciò possa un giorno avvenire.

LITTLE WHITE E LITTLE GRAY STANNO BENE!

Fotografia di Sea Life Trust

Questa fotografia, scattata alla fine di settembre 2020 presso le Isole Westman in Islanda, ritrae due beluga femmina di 13 anni, Little White e Little Gray, che dopo aver vissuto 9 anni nell’acquario di Shanghai, sono appena state liberate. Little White e Little Gray, oggi note alla stampa di tutto il mondo, erano arrivate in Cina nel 2011, dopo che un centro di addestramento militare in Russia (che le aveva catturate da piccole) aveva deciso di cederle perché considerate “inutilizzabili“. Il motivo per cui, poi, dopo 9 anni di spettacoli, sono state inviate a questo santuario islandese è legato alla scelta della società Merlin Entertainment che ha rilevato la struttura di Shanghai e che si è dichiarata contraria alla detenzione di cetacei in cattività. Questa fotografia ci mostra la seconda fase del progetto di riadattamento alla natura, chiamato “Piccoli passi” che la Sea Life Trust sta portando avanti proprio in Islanda. Il porgetto, per arrivare a termine, probabilmente richiederà alcuni anni. Le due femmine di beluga infatti non sanno procacciarsi il cibo, non conoscono i pericoli e neppure sanno bene affrontare le profondità. D’altra parte, avendo trascorso quasi l’intera vita in vasca, di mare ricordano ben poco. In realtà, non sappiamo neppure se riusciranno mai a staccarsi completamente dai biologi che li stanno seguendo, perché i beluga sono cetacei estremamente empatici e i legami che creano, anche con gli esseri umani, sono incredibilmente profondi. Di sicuro, però, questo resta un grande messaggio di speranza per tutti i mammiferi che vivono nei delfinari. La vita non può essere trascorsa dentro una piscina, impegnati a fare numeri da circo ed elemosinando pesce. Attualmente, nel mondo, sono circa 300 i beluga detenuti nei delfinari.

Trovate il video del loro rilascio nel Santuario delle Isole Westman qui -> https://bit.ly/3m3SaU3

Trovate il sito ufficiale del Santuario Islandese qui -> https://bit.ly/33YyCKy

LA BAMBINA E IL DELFINO

Fotografia di Jo-Anne McArthur / We Animals

Questa fotografia è stata scattata in un delfinario delle Hawaii, nel 2012. Ci mostra una bambina, in punta di piedi, intenta a fotografare un delfino rinchiuso in una piccola vasca. Di lì a poco questo delfino verrà chiamato ad esibirsi. Salterà dentro a un cerchio, giocherà con una palla colorata e farà numerosi tuffi altamente spettacolari. La bambina siederà sulle gradinate insieme ai propri genitori e applaudirà felice questi numeri. I bambini sono naturalmente attratti dagli altri esseri viventi. Per questo, per chi ha attività che hanno a che fare con gli animali, sono molto remunerativi. La loro percezione a riguardo è però generalmente diversa dalla nostra. Tendono inoltre a fidarsi molto di ciò che gli raccontiamo noi adulti e questo quasi sempre gli impedisce di comprendere realmente come stanno le cose. D’altra parte, una delle maggiori difficoltà dell’ingabbiare un animale sta nel trovare una buona giustificazione per farlo e uno dei pilastri a supporto è che fanno divertire i bambini. In effetti molte persone sono convinte che questo sia un motivo più che sufficiente per visitare uno zoo o un delfinario. Ecco una fregatura bella e buona ai danni dei più piccoli. Ignara di che cosa veramente ci sia dietro la reclusione del delfino, questa bambina lo osserva e lo fotografa, costruendosi un mondo immaginario popolato di felici delfini acrobati. Poco lontano, ditero le quinte, genitori e gerenti firmano il patto muto per mantenere in piedi la menzogna. Ognuno lo fa per il proprio tornaconto.

IL FIORE, LA GRATA E LA TARTARUGA

Fotografia di Jo-Anne McArthur / We Animals

Questa fotografia è stata scattata nel 2008 in uno zoo di Cuba. Fa parte della raccolta We Animals ddella fotoreporter Jo-Anne McArthur. L’abbiamo scelta perché il contrasto offre alcuni spunti di riflessione. Il muso della tartaruga marina è appoggiato sulla grata di ossigenazione della vasca. L’animale sembra qausi cercare una boccata d’aria. Il fondo vasca, senza alcun arricchimento naturale, è solo cemento infestato da alghe che, inevitabilmente, porteranno a un rapido aumento di batteri e funghi. Se non ci saranno cambiamenti, la malattia per questa taratuga è dietro l’angolo. Poi sopraggiungerà la morte. Poco lontano, in basso sulla sinistra, spicca un piccolo fiore rosso. È l’unico frammento di natura di cui la tartaruga può godere. Tra qualche ora, quando il fiore sarà appassito, nulla più resterà a ricordarle la vita libera che, forse, un tempo ha vissuto. Non sappiamo dire se questa tartaruga sia stata catturata, oppure sia nata in cattività, ma in questo scatto, il fiore che a breve svanirà, marcito dall’acqua, è l’unica cosa che le appartiene davvero. Tutto il resto è frutto della prigionia che noi esseri umani le imponiamo. A Cuba le tartarughe stanno conoscendo un rapido declino. La costruzione di resort e alberghi ha ridotto notevolmente le spiaggie di nidificazione. Purtroppo, nell’isola caraibica, ancora oggi, questi animali non godono di particolare attenzione e salvaguardia. Nonostante, infatti, siano stati recentemente inaugurati alcuni Centri Recupero, per lo più i turisti vengono indirizzati in strutture in cui questi animali sono considerati semplici attrazioni in grado di produrre un buon profitto.